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Il canone televisivo, impropriamente noto come "canone RAI", è un'imposta sulla detenzione di apparecchi atti o adattabili alla ricezione di radioaudizioni televisive, introdotta nel 1938.

Natura giuridica[]

« Chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento, giusta le norme di cui al presente decreto.»

(R.D.L. 21 febbraio 1938, n. 246 art. 1, in materia di "Disciplina degli abbonamenti alle radioaudizioni.")

Sebbene il canone televisivo ha lo scopo principale di finanziare il servizio pubblico radiotelevisivo, non è considerata una tassa, bensì un'imposta, come sancito dalla Corte costituzionale:

«Benché all'origine apparisse configurato come corrispettivo dovuto dagli utenti del servizio [...] ha da tempo assunto, nella legislazione, natura di prestazione tributaria, fondata sulla legge [...] E se in un primo tempo sembrava prevalere la configurazione del canone come tassa, collegata alla fruizione del servizio, in seguito lo si è inteso come imposta»

(Sentenza del 26 giugno 2002 n. 284, Corte costituzionale)

La prassi della determinazione di un canone a prezzo unico è stata ritenuta conforme al principio di proporzionalità impositiva, in quanto la detenzione degli apparecchi è essa stessa presupposto della sua riconducibilità a una manifestazione di capacità contributiva adeguata al caso.

La configurazione del canone riflette la circostanza che un segnale prodotto e rilasciato nell'atmosfera possa essere ricevibile e sfruttabile senza limitazioni da chiunque sia dotato di un'idonea apparecchiatura tecnica. Questo richiese, al momento di redigere la legge, di focalizzare l'obbligo contributivo su quest'ultimo aspetto, poiché i segnali criptati all'epoca non esistevano.

L'imponibilità dipende esclusivamente dalla detenzione di un apparecchio abilitato alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive, indipendentemente se il contribuente guarda o meno programmi RAI o se l'apparecchio li riceve. La Corte di Cassazione ha esplicitato la natura del canone di abbonamento radiotelevisivo nel 2007:

«Non trova la sua ragione nell'esistenza di uno specifico rapporto contrattuale che leghi il contribuente, da un lato, e l'Ente Rai, che gestisce il servizio pubblico radiotelevisivo, dall'altro, ma costituisce una prestazione tributaria, fondata sulla legge, non commisurata alla possibilità effettiva di usufruire del servizio de quo»

(Sentenza del 20 novembre 2007 n. 24010, Corte di Cassazione)

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